Anoressia: cos’è?
L’ anoressia è un disturbo del comportamento alimentare che si basa su un al alterata percezione corporea: ci si vede sempre grassi anche quando non lo si è. Questo induce a una progressiva riduzione dell’alimentazione tramite fino al rifiuto del cibo. Nell’85% dei casi colpisce il sesso femminile dai 15 ai 25 anni e nel 15% colpisce i maschi dai 20 ai 26 anni. Nella ragazza i segni clinici tipici dell’ anoressia sono: interruzione delle mestruazioni, vomito autoindotto e perdita di peso superiore al 15% del totale del peso corporeo nell’ultimo anno.
Anoressia: che cosa vuol dire?
L’ anoressia esprime un rifiuto della femminilità. La persona che soffre di anoressia vive in genere un profondo conflitto con la propria madre. Nello sviluppo “normale” la figlia deve riconoscersi nel femminile della madre, ottenere la sua complicità e riceverne la complice approvazione. Tuttavia a volte la madre, inconsciamente, non è disponibile a questo percorso: anzi, essa non sa accettare lo sbocciare di una femminilità che lei stessa per prima non vive. Al posto dell’accettazione fa valere un’atmosfera carica di critiche e di aspettative eccessive. Non solo: spesso tratta la figlia come un’estensione di sé, non riconoscendola come entità individuale. Talora è presente anche una silenziosa competizione: la madre teme che la crescita della ragazza sminuisca il suo ruolo in società e agli occhi del marito. Al contempo, il padre vuole la moglie tutta per sé: è la cosiddetta “coppia escludente” che fa sentire la figlia completamente tagliata fuori e che si rafforza con il peggiorare delle condizioni di salute della figlia. Sulla ragazza vengono inconsciamente proiettate le grandi problematiche irrisolte della coppia stessa.
Così la figlia si trova a non avere un punto di riferimento femminile, entrando in un conflitto terribile: a livello cosciente non vuole diventare come la madre, ma al contempo cerca, a livello inconscio, di assomigliarle per essere accettata. Inoltre si sente esclusa, mai parte di qualcosa e dunque priva di qualsiasi valore. Per uscire da questa situazione, si metterà alla ricerca di un’identità attuando comportamenti che possono regredire a fasi più infantili dello sviluppo. La ragazza usa l’ anoressia per trovare la propria indipendenza, rifiutando quel cibo-simbolo di un amore materno controverso.
Cerca di conseguenza un’identità anche estetica in una magrezza che ritiene socialmente accettata e, anzi, stimolata dai media.
E la trova nei rituali, ad esempio pesare gli alimenti o autoindursi il vomito; nell’attività fisica continua per la quale si sottopone a ore e ore di sport, facendo qualsiasi azione pur di bruciare energia (per esempio cammina sempre a piedi o non prende l’ascensore); nell’iperattività mentale, che si traduce spesso in una carriera scolastica con voti altissimi o in un’efficienza esagerata sul lavoro. L’iperattività serve inoltre a coprire ogni spazio vuoto della giornata, percepito come intollerabile. In generale, la persona che soffre di anoressia cerca una “soluzione” di tipo inconsciamente mistico, come suggeriscono il digiuno e la rarefazione del suo corpo: elevarsi al di sopra delle passioni terrene per non soffrire, perché il messaggio ricevuto dalla coppia genitoriale è che non può essere amata.
Il distacco e il disprezzo del proprio corpo la obbliga a relazioni brevi e superficiali con l’altro sesso, a una sessualità assente o simulata, il cui punto centrale è l’anorgasmia. Così, nel giro di poco tempo, si allontana ancora di più da se stessa: se è vero che non sa chi è, sa almeno di essere anoressica! Mentre da un lato questo atteggiamento innesca una profonda depressione non riconosciuta, dall’altro le dà una sensazione di appagamento: è in “luna di miele” con i suoi rituali. Cerca di eliminare l’acqua (la femminilità), i grassi (le forme), gli zuccheri (l’energia).
Trova l’identità nel “senza forma”, un’identità impossibile da mantenere per sempre, ma che comunque può durare a lungo.