E la trova nei rituali, ad esempio pesare gli alimenti o autoindursi il vomito; nell’attività fisica continua per la quale si sottopone a ore e ore di sport, facendo qualsiasi azione pur di bruciare energia (per esempio cammina sempre a piedi o non prende l’ascensore); nell’iperattività mentale, che si traduce spesso in una carriera scolastica con voti altissimi o in un’efficienza esagerata sul lavoro. L’iperattività serve inoltre a coprire ogni spazio vuoto della giornata, percepito come intollerabile. In generale, la persona che soffre di anoressia cerca una “soluzione” di tipo inconsciamente mistico, come suggeriscono il digiuno e la rarefazione del suo corpo: elevarsi al di sopra delle passioni terrene per non soffrire, perché il messaggio ricevuto dalla coppia genitoriale è che non può essere amata. 

Il distacco e il disprezzo del proprio corpo la obbliga a relazioni brevi e superficiali con l’altro sesso, a una sessualità assente o simulata, il cui punto centrale è l’anorgasmia. Così, nel giro di poco tempo, si allontana ancora di più da se stessa: se è vero che non sa chi è, sa almeno di essere anoressica! Mentre da un lato questo atteggiamento innesca una profonda depressione non riconosciuta, dall’altro le dà una sensazione di appagamento: è in “luna di miele” con i suoi rituali. Cerca di eliminare l’acqua (la femminilità), i grassi (le forme), gli zuccheri (l’energia). 
Trova l’identità nel “senza forma”, un’identità impossibile da mantenere per sempre, ma che comunque può durare a lungo.